In età romana veniva esaltata la figura del romano “ideale” come una persona dotata di autocontrollo e padrone delle proprie azioni, ma non sempre era cosi. Nel momento in cui Roma intraprendeva una guerra di conquista o di difesa i soldati romani, che durante la battaglia sotto gli ordini dei loro comandanti agivano in modo assolutamente razionale e seguivano i dettami dell’arte militare, una volta ottenuta la vittoria, scatenavano i loro peggiori istinti sulle donne che venivano violentate o catturate per essere schiavizzate.
La mancanza di rispetto verso il popolo barbaro è evidente specialmente sulla violenza fisica che le donne barbare subivano in continuazione da parte dei soldati romani durante e dopo le azioni belliche. Questa violenza rientrava nei cosiddetti “stupri di guerra” che spesso venivano addirittura incoraggiati dagli stessi comandanti. In quelle circostanze era una cosa normalissima, ma benché ai nostri occhi tali azioni possono sembrare inaccettabili dobbiamo riconoscere che simili comportamenti in guerra sono avvenuti anche in tempi vicini a noi ed anzi possiamo dire che continuano a ripetersi anche se talvolta si tenta di nasconderli. La donna barbara veniva vista, da parte dei romani conquistatori, non come un essere umano ma come un “oggetto” da possedere con qualsiasi mezzo che si ha a disposizione e come una preda da esibire in pubblico, per poi venderla al miglior offerente senza fare distinzioni di rango.
Un chiaro esempio di quanto detto fino ad ora è dato dalla Colonna Aureliana, eretta tra il 176 e il 192 d.C. per celebrare le vittorie dell’imperatore Marco Aurelio ottenute sulle popolazioni germaniche dei Marcomanni, dei Sarmati e dei Quadi, stanziate a nord del medio corso del Danubio durante le Guerre Marcomanne.
Sul monumento, collocato davanti a Palazzo Chigi, sono scolpite scene che rappresentano la crudeltà dell’esercito romano nei confronti delle donne che, durante la narrazione figurata, compaiono solo in due momenti: in riferimento diretto con l’avvenimento bellico (la conquista di una località o la fuga dei barbari sconfitti) e al termine delle singole campagne come prigionieri. Raramente vengono rappresentati in scene di deportazione o di sottomissione che viene accolta dall’imperatore.
Nelle scene raffiguranti la conquista di una località, le donne sono trascinate per i capelli e, in alcuni casi, trucidate dai soldati romani con i loro pugnali, mentre esse implorano pietà. In queste immagini si vuole mettere in evidenza la paura, l’orrore e la mancanza d’uscita, con l’intento di mostrare cosa dovevano sopportare le donne e i bambini in occasione della presa dei villaggi e nei tentativi di fuga.
Purtroppo ci sono anche episodi in cui la donna subisce “violenza carnale”: la figura femminile è raffigurata col seno denudato o con cenni di nudità.
Nelle rare immagini in cui le donne appaiono catturate e deportate, la barbara sottomessa è raffigurata in gesti di lutto e lamento che rientrano sia nei vecchi stereotipi dell’arte greca, sia nel linguaggio elementare del corpo. Il loro stato servile è contrassegnato dai capelli lunghi e in disordine, e dalle vesti trasandate.
Con la riduzione in schiavitù delle donne e con la separazione dai bambini si puntava a distruggere, attraverso la violenza e la brutalità, ogni tentativo di rinascita di quelle popolazioni barbare che erano penetrate fino nell’Italia settentrionale e che avevano procurato all’impero romano delle pesanti perdite.
Elda Cleriti