Per un’interpretazione di un particolare iconografico nella Sala Paolina in Castel Sant’Angelo

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Tornato a Roma nel 1537 dopo la parentesi genovese, Perin del Vaga comincia a essere uno degli artisti più attivi in città. Tra gli illustri committenti per cui ebbe il privilegio di lavorare in quest’ultima fase della sua vita, si rivolge al Vaga Paolo III Farnese, il papa del Concilio di Trento, salito al soglio pontificio nel 1534 e fautore di un programma di rigido e repressivo contrattacco ai Protestanti. La decorazione del suo appartamento privato in Castel Sant’Angelo è sicuramente una delle opere più impegnative che il pontefice abbia assegnato a Perin del Vaga e al suo entourage in quegli anni; il programma iconografico, in cui non mancano rimandi ovidiani, curiosi data l’epoca e la committenza, vede l’espressione più incisiva della politica di Paolo III nella Sala Paolina, nella quale, in un continuo gioco di rimandi alla figura del pontefice Farnese attraverso una sua duplice identificazione in Alessandro Magno e San Paolo, spicca un elemento esotico.

 

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La presenza di due babbuini nel riquadro sottostante la figura dell’Arcangelo Michele, giustificata come raffigurazione di un dono diplomatico portato a Paolo III che rimanderebbe altresì all’autore dei due animali (G. Bertucci), si potrebbe collocare, alla luce del periodo storico e sociale che si stava attraversando e, come già detto, della committenza, nella discussione sul motivo iconografico, diffusissimo per tutto il Cinquecento, della scimmia vista come creatura tra le più simili all’uomo ma dal quale si differenziava per la mancanza di ragione e decoro, il che la accostava a peccati come la superbia, la gola, la lussuria, oltre che a tutto un dibattito filosofico incentrato sul corpo come prigione dell’anima; a tal proposito basta pensare al michelangiolesco Schiavo ribelle del Louvre, nel quale la scimmia ai piedi della statua è stata interpretata (Panofsky) proprio in questo senso. Alla luce di ciò e alla luce di altre coeve iconografie, come per esempio quella ovidiana della Caduta dei Giganti (di cui la versione più famosa è, senza dubbio, quella di Giulio Romano in Palazzo del Tè a Mantova), si potrebbe pensare alle due scimmiette della Sala Paolina come a un’allegoria dei Protestanti, pensiero rafforzato dal fatto che uno dei due animali tiene in mano un grappolo d’uva, da sempre simbolo di salvazione, mentre guarda in alto, verso l’Arcangelo Michele, qualcosa che rafforzerebbe non poco l’idea di Paolo III come pontefice capace di riportare tutti i fedeli sulla retta via.

 

Per approfondire…

E. Parma, Perin Del Vaga: l’anello mancante. Studi sul Manierismo, Sagep, Genova 1986, pp. 221-225

A. Ghidoli Tomei, Impresa ed Emblema. Le immagini simboliche nel programma decorativo di Castel Sant’Angelo, in op. cit., pp. 39-46

E. Gaudioso, Paolo III Farnese e la politica delle arti, in AA.VV., Gli affreschi di Paolo III a Castel Sant’Angelo, De Luca, Roma 1981, pp. 23-29

Clarissa Gissi

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