«Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, interrogati mediante aruspici, chi avrebbe dato il nome alla città e chi vi avrebbe regnato. Per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l’Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo. Dal momento che a Romolo ne erano apparsi dodici quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re entrambi. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque una discussione e dallo scontro a parole si passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione secondo la quale Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette [più probabilmente il pomerium, il solco sacro] e quindi Romolo, al colmo dell’ira, l’avrebbe ucciso aggiungendo queste parole di sfida: «Così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura». In questo modo Romolo s’impossessò del potere e la città prese il nome del suo fondatore.»
(Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, I, 7 – traduzione di G. Reverdito)
E’ difficile immaginare come possa nascere una meraviglia urbana come Roma. Gli antichi, così come erano soliti, cercarono di storicizzare l’origine della capitale dell’impero attraverso la leggenda di Romolo e Remo. La lotta tra i due, figli di Marte e Rea Silvia, un dio e una donna comune, si concluderà con la vittoria del primo, fondatore e primo re della città.
Livio, cantore delle origini e della storia della città eterna, racconta tutto il percorso di ascesa del potere romano, dall’allattamento dei mitici gemelli da parte di una lupa sulle rive del Tevere ai fasti dell’età augustea.
Finito l’impero, un nuovo, crescente e prepotente potere scelse Roma come sua capitale, quello del Papato. Stabile dal Quattrocento, la corte pontificia ha da sempre avuto un rapporto privilegiato con il tessuto urbano, anche sotterraneo: dalle catacombe, dove si trovano le prime tracce di raffigurazioni del Vangelo e dei Santi, fino alle Chiese rinascimentali e barocche, l’ambivalenza del detentore delle chiavi di Pietro, re e capo religioso, consentì l’arrivo di artisti da tutto il mondo, che gareggiarono per abbellire, costruire, restaurare e decorare la città.
Come in ogni storia, anche in quella della città eterna non mancano le pagine scure e tristi: saccheggi, guerre, ingiuste giustizie, che tuttavia l’estro artistico romano ha cercato di trasformare in ironia amara e satira feroce, così come testimoniano i versi di Trilussa su Giordano Bruno.
Fece la fine de l’abbacchio ar forno
perché credeva ar libbero pensiero,
perché si un prete je diceva: — È vero —
lui risponneva: — Nun è vero un corno! —Co’ quel’idee, s’intenne, l’abbruciorno,
pe’ via ch’er Papa, allora, era severo,
mannava le scommuniche davero
e er boja stava all’ordine der giorno.Adesso so’ antri tempi! Co’ l’affare
ch’er libbero pensiero sta a cavallo
nessuno pô fa’ più quer che je pare.In oggi, co’ lo spirito moderno,
se a un Papa je criccasse d’abbruciallo
pijerebbe l’accordi cór Governo.
Roma divenne di nuovo capitale, ma stavolta dell’Italia, e mostra tra i suoi vicoli, i palazzi, le strade, ancora quella commistione di sacro e profano che la rende così ricca di miti, leggende, storie di santità e di crimini, che la rendono un microcosmo unico al mondo.
I romani, per dire di avere pazienza, dicono che Roma non fu costruita in un giorno solo. In effetti, non basta un giorno per visitarla, ne per conoscerla. In questo momento più che mai, dobbiamo attendere per rivedere le sue meraviglie. Intanto, possiamo augurarle buon compleanno e altri 2773 di questi anni di bellezza.
Lara Scanu