Il rione campo Marzio e la strada degli artisti: Via Margutta

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Nella zona tra il rione Sant’Eustachio e Campo Marzio la grandezza dell’arte domina la “piccolezza” del tessuto urbano. Se il rione Sant’Eustachio prende il nome dalla Basilica omonima, qual è l’origine di Campo Marzio? Perché tale nome? Come nasce e cosa è stato?

Sono queste le domande cui si vuole tentare di dare una risposta.

Si pensa che in tempi antichi Campo Marzio sia stato occupato da alcuni spazi, una caserma e un insieme di palestre dove ci si esercitava nell’arte della guerra. Marte è, infatti, il dio della guerra e quindi Campo Marzio ricopriva una funzione militare.

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Mausoleo di Augusto

Alle origini dell’Urbe Campo Marzio era il luogo in cui i Tarquini esercitavano il loro governo. Quando nel 509 a.C. furono cacciati dal Campo e si diede inizio alla Repubblica, cominciarono i lavori di edificazione. Nel corso dei secoli successivi furono costruite abitazioni e aree sacre, dove poter professare il culto, e non prive di memoria sono l’area del teatro e dello sport (non dimentichiamo piazza Navona).

Anche Tito Livio racconta che il “campo dei Tarquini consacrato a Marte fu destinato agli esercizi militari e ginnici fin dalla fondazione di Roma” ma indagando tra le antiche fonti antiche, in particolare leggendo Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, nessuna di esse ci fornisce conferme riguardo l’ipotesi che la nascita del Campo sia legata all’esercizio della guerra. Anche esaminando gli scavi archeologici che hanno interessato quest’area nel corso dei secoli tutto troviamo meno che insediamenti che possano giustificare tale origine. Allora perché campo? Doveva forse essere una grande piazza, un grande spiazzo? Questo di sicuro, data l’immenso spazio ma qual è stata la rilevanza dell’area?

Dal punto di vista urbanistico la viabilità è identica a quella del I/II sec d. C. Potremmo ritenere che l’assetto moderno rendi poco rintracciabile il viario antico, niente di più inappropriato. Nella sua struttura essenziale Via del Corso è ancora l’antica Via Lata. La ricerca archeologica ha confermato ciò e sottolinea, inoltre, che la Via Lata divideva l’area in due grandi blocchi urbani: uno abitativo e l’altro sacrale. Fulcro sacrale della città alle sue origini è senz’altro il complesso del Pantheon, edificio cruciale del Campo Marzio, sito in cui avvenne l’apoteosi del fondatore dell’Urbe, il divino Romolo.

Dunque il campo risulta circoscritto in una dimensione sacrale; un campo di battaglia, si, ma non per coloro che si esercitavano in palestra bensì per quelli che lottavano nel fatale contrasto fra cristianesimo e paganesimo. La Colonna di Marco Aurelio, rimasta in piedi laddove fu costruita, venne eretta per assurgere il ruolo di custode, sentinella di tutta l’area circostante. La Colonna guardava al Mausoleo di Augusto, si poneva come faro della sacralità così come Augusto aveva desiderato.

La denominazione del luogo in Campus Martii dalle piante antiche persiste nel tempo e giunge fino alle incisioni di Giovan Battista Piranesi.

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Il simbolo araldico del rione Campo Marzio, la cui origine tutt’ora ignota, è una mezzaluna in campo azzurro, forse tratto dall’immagine marziale di un cimitero ornato da falce di luna.

Dopo i numerosi gli interventi papali per la sistemazione della viabilità il tessuto viario ed edilizio del rione fu portato a termine quando Roma divenne capitale del Regno d’Italia nel 1870.

Massicci furono gli interventi di sistemazione a partire dai muraglioni in cui fu chiuso il Tevere, per evitare gli alluvioni, costeggiati dai nuovi “Lungotevere”, che furono denominati Lungotevere in Augusta e Lungotevere Marzio.

Tra le strade che dipartono da Campo Marzio si presta attenzione ad una delle più affascinanti e caratteristiche del luogo: Via Margutta.

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Si tratta di una parallela di via del Babuino, la strada che va da piazza del Popolo a piazza di Spagna.

Posta alle pendici del Pincio, in origine era un viottolo sul retro dei palazzi di via del Babuino, dove si posteggiavano carrozze, carretti; era la sede di magazzini e scuderie. Vi si trovavano case di stallieri, cocchieri, muratori e marmisti.

Qual è la sua etimologia?

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La risposta è controversa: da un lato si dice che provenga dal latino “Maris gutta”, cioè Goccia di Mare, una sorta di eufemismo per indicare un ruscello che scendeva dalla villa dei Pincii e che finiva poi nel Tevere. Altri sostengono, invece, che il nome venga da quello di un barbiere di nome Giovanni, che aveva la bottega in quella strada. Sembrerebbe che per il soprannome alquanto dispregiativo “Margutte” il barbiere fosse un po’ tonto e dotato di una notevole bruttezza. Ciò non impedì, però, che la strada conservasse proprio questo nome. Altri, invece, (ipotesi forse più accreditata) considerano che il cognome di Giovanni fosse Margut; in effetti a Roma intorno al XV secolo era registrato un casato con un tale nome.

Monsignor Saverio de Merode, esecutore edilizio del Governo Pontificio durante gli anni del pontificato di papa Pio IX, avvertì l’esigenza di una trasformazione della zona: acquistò tutta l’area attigua alle pendici del Pincio, impiantò le fogne e sistemò il piano regolatore del vicolo che divenne poi una strada. E fu lì che un ignoto artista aprì una sua bottega per realizzare i ritratti, le fontane e le ringhiere dando il via ad una fiorente attività che consegnò a Via Margutta il volto della più nota e vivace via dell’arte, il cui fascino perdura e vive attraverso coloro che la percorrono.

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In una delle case cinquecentesche Audrey Hepburn trascorreva le sue Vacanze Romane, nel film degli anni Cinquanta, che ha suggellato il successo di Via Margutta, divenuta una strada esclusiva, che sapeva e sa tuttora distinguersi dalle altre limitrofe. Divenne residenza di personaggi famosi, tra cui il regista Federico Fellini, che la descrive con queste parole:

“Sale, scalette, corridoi che si aprivano fra gli orti, poi altre scale e scalette, un paesaggio verticale sommerso nel verde, fin sotto il viale di Trinità dei Monti”.

Una targa ricorda che al civico 110 di Via Margutta Fellini abitò con la moglie e attrice Giulietta Masina. Non furono gli unici a soggiornare presso tale via.

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Agli inizi del Novecento fu dimora dei pittori Augusto Mussini e Gregorio Maltzeff. Altri pittori che abitarono nelle vicinanze di via Margutta nei secoli passati furono Pietro Paolo Rubens, Nicolas Poussin, Jusepe de Ribera, Gaspar van Wittel, Pablo Picasso, Pieter van Laer e i due fratelli van Bloemen detti L’Orizzonte e Lo Stendardo.

Le sale dell’Associazione artistica internazionale nell’Ottocento ospitavano gli eventi più mondani, con protagonisti Richard Wagner e Franz Liszt, Giacomo Puccini e Pietro Mascagni, Emile Zola e Gabriele d’Annunzio, uno dei più assidui frequentatori.

Via Margutta è un ottimo scenario per le passeggiate a qualsiasi ora del giorno e consente di ammirare le favolose vetrine d’arte e i monumenti che ha da offrirci.

Percorrendo la via da Nord a Sud si incontrano i seguenti monumenti di interesse storico:

Palazzo Patrizi Nari, storico edificio ottocentesco, ora abitazione privata. La Fontana delle Arti, fontana in marmo a base triangolare sormontata da un secchio di pennelli proprio in relazione alla presenza degli artisti (un modo alternativo per identificare via Margutta è via degli Artisti). Realizzata nel 1927, la Fontana ha due mascheroni centrali, uno triste ed uno lieto, che simboleggiano le due facce dell’artista, dal contrastato stato d’animo bohémien. Interessante anche il Collegio Torlonia (XIX secolo)

Oggi come in passato Via Margutta è immersa nel verde, un’atmosfera serena e affascinante la pervade. L’edera ricopre le cortine murarie di questa strada, edera che un tempo creava un’ininterrotta galleria vegetale, conferendo alla strada un aspetto unico e fantastico, come descrisse Augusto Jandolo, antiquario e poeta, che qui ebbe il suo studio:

Pòi dì che via Margutta

Sia inghirlandata tutta de sta’ pianta

Che nasce quasi sempre su la porta;

poi cresce come un serpe, tutta storta,

s’arampica sur muro e te l’ammanta!

Tra un edera e l’altra si scorge il civico 55B: la famosa bottega del “marmoraro” Enrico Fiorentini. Questi, circa mezzo secolo fa aveva lasciato via dei Coronari per aprire qui una bottega, avendo sin da ragazzo coltivato l’interesse per il lavoro del marmo. Veniva considerato al pari dei più grandi conoscitori. A lui facevano appello storici dell’arte e accademici per consulti riguardo la paternità di una determinata opera. Oggi al suo posto c’è il figlio architetto, Sandro Fiorentini, che porta avanti con la stessa passione il lavoro cominciato dal padre, della cui stessa stima e apprezzamento gode. All’interno della bottega vi sono numerose sculture e lastre di marmoree, che decorano la stessa. Tra le più’ originali detti: “barcollo ma non mollo”, “se ja fo ja fo, se gna fo gna fo” in dialetto romano e proverbi latini “in vino veritas”, “veni vidi vici”, motti di vita “vivi il vero, ama il raro”..

La piccola e deliziosa stradina è resa ancora più unica e rara dalla mostra che si rinnova ogni anno “100 pittori a Via Margutta”. È un’iniziativa nata nel 1953 per volontà di alcuni pittori che vollero conservare la natura del luogo, legato all’artigianato, all’arte, alla musica e alla poesia. Oltre 1.000 opere esposte tra dipinti ad olio, disegni, acquerelli di artisti più o meno noti, selezionati con attenzione e, soprattutto, provenienti da molti paesi (dato che conferisce alla strada un aspetto internazionale) e impegnati in varie tipologie espressive dall’astrattismo al ritratto fino alla pittura di paesaggio. La mostra rende via Margutta un vero e proprio museo d’arte all’aperto (anche se oggi molti studi d’artista sono divenuti appartamenti privati e le antiche botteghe esposizioni d’antiquariato o atelier di moda).

L’ingresso alla “galleria a cielo aperto” oltre che gratuito, è aperto a tutti. Perché non farci un salto?

Donatella Valentino

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