La Burla delle false teste di Modigliani

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Nell’estate del 1984 si decise di allestire una mostra per celebrare il centenario della nascita di Amedeo Modigliani nella sua città natale, Livorno. Ad occuparsi del progetto, incentrato sull’attività di scultore di Modì, fu Vera Durbè – conservatrice dei musei civici livornesi e direttrice del museo d’arte moderna di Villa Maria- affiancata dal fratello Dario, sovrintendente della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. Poiché non si raccolsero opere all’altezza del prestigio dell’iniziativa, Vera decise di utilizzare delle scavatrici nel Fosso Reale, accreditando una vecchia leggenda secondo la quale nel 1909 Modigliani vi gettò quattro delle sue sculture, sconfortato dal giudizio dei suoi concittadini e ritenute da lui stesso insoddisfacenti. All’ottavo giorno dall’inizio dell’operazione seguita dai media televisivi, venne ritrovata una scultura di pietra- insieme ad altre due rinvenute nelle settimane successive- e passate subito al vaglio di grandi critici d’arte ed esperti, tra i quali spiccarono Cesare Brandi e Giulio Carlo Argan. Tutti unanimi nel ritenere le sculture autentiche e opera del genio di Modigliani, decisero di esporle immediatamente alla mostra in corso a Villa Maria. “Finezze di segno e di taglio che sono inequivocabilmente di Modigliani”, scrissero. Tuttavia, a un mese di distanza dal ritrovamento “miracoloso”, quattro giovani studenti universitari livornesi si presentarono alla redazione del settimanale Panorama: dichiarando di essere loro stessi artefici delle sculture e autori della “burla”, portarono con sé una fotografia che li ritraeva nell’atto di scolpire una delle teste e ricevettero dieci milioni di lire per lo scoop. La cosiddetta “testa numero2” era opera loro, realizzata con banali attrezzi prima di essere gettata nel Fosso. Inizialmente gli organizzatori non credettero al racconto dei ragazzi e li accusarono di essere mitomani: tre di loro vennero invitati a ricreare in diretta TV un nuovo falso, durante uno Speciale TG1, al fine di dimostrare con i fatti la loro capacità di realizzarlo in “così poco tempo”.

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A seguito dell’invito di Federico Zeri- uno dei critici d’arte che giudicò fin dall’inizio le sculture false-, uscì dall’anonimato anche l’autore delle altre due teste: si trattava di Angelo Froglia, un portuale che a insaputa degli altri aveva pensato di mettere in piedi la stessa provocazione. Egli dichiarò che la sua non voleva essere una burla, ma “un’operazione estetico-artistica per verificare fino a che punto la gente, i critici, i mass media creano dei miti”. Ad avvalorare la sua posizione vi fu anche un filmato durante il quale egli scolpiva le due teste. Di fatto la beffa mise in ridicolo l’intero sistema della cultura italiano, rappresentato dai responsabili delle sovrintendenze e dai più famosi critici d’arte, oltre che a segnare la fine della carriera della direttrice Durbè.

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Elisa Barbato

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