1633: due gesuiti portoghesi ricevono la lettera di padre Cristóvão Ferreira (Liam Neeson), missionario in Giappone, che racconta le feroci persecuzioni subite dai cristiani ma si diffonde la notizia che lo stesso Ferreira avrebbe rinnegato la fede cristiana e si sarebbe sposato con una donna giapponese. I due giovani gesuiti Sebastiãno Rodrigues (Andrew Garfield) e Francisco Garupe (Adam Driver), discepoli di Ferreira, non riescono a credere all’apostasia del loro maestro e decidono quindi di partire per il Giappone. Si servono come guida di un giapponese alcolizzato, Kichijro, che li conduce nella comunità segreta dei cristiani nel villaggio di Tamogi. Quando nella zona arriva Inove Masashinge, detto l’inquisitore, con i suoi samurai, fa torturare e crocifiggere tre contadini perché si sono rifiutati di rinnegare il cristianesimo, Rodrigues e Garupe, fino ad allora nascosti, scappano e si dividono. Inizia, così, per padre Rodrigues un calvario di drammatiche esperienze segnato dalla prigionia e da torture psicologiche. Rodrigues, condotto in un tempio buddista, incontra finalmente padre Ferreira. Alla vista del suo ex-padre spirituale, conosciuto ora come Sawon Chūan, il giovane scoppia in lacrime. Ferreira, cerca di spiegare al giovane il motivo della sua apostasia: i giapponesi non potranno mai comprendere l’essenza effettiva del Dio cristiano. Rodrigues però dichiara di essere pronto ad affrontare il martirio, pur di non rinnegare la sua fede. Tuttavia, udendo i pianti di alcuni cristiani torturati e sollecitato dallo stesso Ferreira, il gesuita decide di compiere il yefumi per salvare le vite dei poveri cristiani. Dopo l’apostasia, anche padre Rodrigues abbraccia lo stile di vita giapponese, imparandone gli usi e costumi e sposando una donna del luogo. Diventato vecchio, Rodrigues muore e viene cremato secondo l’uso buddista. Nell’ultima scena viene mostrato il corpo dell’uomo all’interno della bara posta sulla pira funeraria, ma, in un’inquadratura ravvicinata, si scorgono, la sue mani che stringono ancora un piccolo crocifisso donatogli durante il periodo di prigionia. Silence è l’ultimo film di Martin Scorsese, uscito nelle sale italiane nel 2016, la prima proiezione è stata il 29 novembre 2016 nella città del Vaticano. Il film è ispirato al romanzo Chiumaku di Endō Shūsaku (1923-1996), scrittore giapponese, pubblicato nel 1966 in Italia. Lo stesso romanzo ha ispirato anche il film omonimo di Shinoda Masahiro. In Chiumaku Endō Shūsaku rievoca la via crucis dei missionari cristiani nel Giappone del XVII secolo, quando lo Stato feudale li perseguitava spietatamente. Questa azione da parte dello stato nipponico era dovuta a due principali motivi: il primo, cercava di impedire la diffusione culturale e il secondo, riguardava il punto di vista politico: il Giappone era infatti nel pieno del sakoku (Paese chiuso), quando il Paese chiuse tutti i contatti con l’Occidente, questo periodo durò per oltre due secoli. In quel periodo, il missionario gesuita Cristóvão Ferreira (1580- 1650), scomparve e si temette che la sua sparizione fosse dovuta al fatto di aver rinnegato la fede cristiana sotto tortura. Due giovani discepoli gesuiti, Francisco Garupe e Sebastiãno Rodrigues, quest’ultimo personaggio fittizio ispirato al gesuita Giuseppe Chiara (1602- 1685), decisero di partire per il Giappone alla ricerca di padre Ferreira. Nel 1988 Martin Scorsese scoprì il romanzo ai tempi della presentazione del suo film L’ultima tentazione di Cristo (1988). Affascinato da come in Chiumaku si affrontavano i nodi della fede e dal contesto storico- politico del Giappone, cominciò a lavorare tra il 1990 e il 1991 alla prima stesura della sceneggiatura con Jay Clocks. Per ventisette anni il progetto di Silence ebbe molti rinvii poiché Scorsese non riusciva ad essere soddisfatto della sceneggiatura ed ebbe anche molti problemi con la produzione e con la scelta degli attori. Dopo il trionfo di Wolf of Wall Street (2013), Scorsese riuscì finalmente a disporre di un budget di quarantasei milioni di dollari, coinvolse il suo abituale e prestigioso cast di collaboratori (Dante Ferretti per le scenografie, Thelma Schoonmaker al montaggio) e riuscì a ricostruire il Giappone del XVII secolo a Taiwan. In Silence si possono notare scene che rinviano all’arte figurativa del tardo rinascimento/ inizio del barocco e, ovviamente, sia all’iconografia giapponese sia a citazioni cinematografiche, tipiche dell’opera di Scorsese.

Immagine 2. Crocifissione (1456), Vincenzo Foppa.
L’inquadratura di Martin Scorsese (Immagine 1), in cui si vedono i tre contadini giapponesi del villaggio di Tamogi crocefissi dai samurai per non aver rinnegato la fede cristiana, potrebbe rimandare al quadro di Vincenzo Foppa, la Crocifissione del 1456 (Immagine 2) , non tanto per il paesaggio, poiché nel dipinto sullo sfondo è presente una città mentre nell’inquadratura di Martin Scorsese c’è l’infinito Oceano Pacifico ma perché entrambe le immagini hanno come cornice un arco. Nella Crocifissione è presente un arco classicheggiante con colonne, capitelli e medaglioni, che rinviano a un gusto di tipo padovano, nell’inquadratura del film c’è sempre un arco ma di roccia, tuttavia, a differenza della Crocifissione, i tre corpi dei contadini sono inquadrati da dietro. In tutte e due le scene viene raccontato il momento della Crocifissione, ovviamente nel dipinto l’uomo al centro è il Cristo, a destra si contorce il cattivo ladrone e a sinistra, ormai morto, c’è il buon ladrone. In Silence, l’uomo al centro dopo una lunga agonia è l’ultimo che muore, come Cristo. Proprio come nell’episodio della Crocifissione, i tre contadini prigionieri vengono controllati costantemente dai samurai affinché nessuno si possa avvicinare per salvarli. In Foppa è evidente la capacità di rendere naturale la scena, la novità nel dipinto sta nel fatto di cogliere le luci atmosferiche e non mentali, queste luci, a differenza della tradizione fiorentina, donano al dipinto una dimensione di realismo. Similmente, Martin Scorsese riesce a dare una dimensione realistica all’ambientazione, grazie alla fotografia di Rodrigo Prieto.
In un intervista di Antonio Spadaro, Martin Scorsese ha dichiarato di essersi ispirato per il volto di Cristo alla pittura di El Greco «più compassionevole di quello dipinto da Piero della Francesca».
El Greco, nome d’arte di Domínikos Theotokópoulos (Candia, 1541- Toledo, 1614), è stato un pittore, scultore e architetto greco vissuto in Italia e in Spagna ed è tra le figure più importanti del Tardo Rinascimento spagnolo. Santa Veronica (Immagine 4) del 1577/78 di El Greco rimanda esplicitamente al volto riflesso nell’acqua del torrente di padre Rodrigues prima che venga catturato dai samurai dell’inquisitore (Immagine 3).

Immagine 4. Santa Veronica (1577/78), El Greco.
Quest’opera rappresenta il momento in cui Santa Veronica asciuga il sudore e il sangue di Cristo durante la Passione. I vangeli canonici non menzionano questo episodio, nonostante la chiesa cattolica lo consideri veritiero. El Greco plasma qui un viso di Cristo poco ortodosso, che si distacca dai canoni bizantini e si avvicina al canone iconico proposto dall’arte della Controriforma, alla quale El Greco aderì. Nell’inquadratura di Martin Scorsese lo spettatore riesce a partecipare insieme a padre Rodrigues al colloquio con Cristo, nel silenzio che circonda tutta la natura. La scena successiva, quando padre Rodrigues viene catturato dai samurai dopo il tradimento di Kichijro (Immagine 5), potrebbe rimandare al quadro di Andrea Mantegna Orazione nell’orto (Immagine 6) del 1460. Mantegna mette in risalto, nella stratificazione delle rocce, la storia di una natura “antica”, e, con essa, l’avvento e la caduta della spiritualità cristiana. Anche nell’inquadratura di Scorsese si può notare molto bene che le acque del fiume hanno stratificato la rocce, perché il Giappone ha una storia antica e piena di tradizioni e che difficilmente una nuova cultura si può consolidare in breve tempo. Nel dipinto di Mantegna è ben visibile la città sullo sfondo, Roma, per antonomasia la storia. Diventa quindi storico, compiuto ed immutabile il fatto rappresentato, quando Cristo viene catturato dai soldati di Ponzio Pilato e portato alla croce. In Silence sullo sfondo è visibile solo la natura, ma ciò che hanno in comune le due scene è l’estremo colloquio di Cristo/padre Rodrigues con il Padre, è un colloquio intimo, che non può avere testimoni umani, solo gli animali sulla terra e, in Mantagna, i pesci nell’acqua alludono alla natura stessa. Ovviamente, è ben evidente che il dipinto di Mantegna e la scena di Martin Scorsese hanno in comune il fatto storico. Come Gesù fu tradito da Giuda anche padre Rodigues ha subito la stessa sorte da parte di Kichijro. Quest’ultimo ha avuto dai samurai monete d’argento per il suo tradimento come Giuda i trenta denari dai soldati ed entrambi alla fine se ne pentono e chiedono perdono.

Immagine 6. Orazione nell’orto (1460), Andrea Mantegna.
Come in tutti i film di Martin Scorsese non mancano citazioni cinematografiche, in particolare due scene di Silence che rimandano ad evidenti riferimenti: la prima, quella in cui alcuni fedeli cristiani vengono buttati dalla barca legati e lasciati affogare, con padre Garupe che ne condivide la stessa sorte dopo essersi tuffato inutilmente per salvarne qualcuno, il tutto sotto gli occhi di padre Rodrigues impotente a fare qualsiasi cosa. Quest’immagine rimanda senza dubbio all’ultimo episodio di Paisà (1946) di Roberto Rossellini in cui i soldati nazisti gettano i prigionieri partigiani legati mani e piedi uno dopo l’altro nella laguna. La seconda scena è quella finale in cui il corpo di padre Rodrigues rivela alla fine, a dispetto dell’intransigente silenzio ostentato per decenni, il piccolo crocifisso di legno nelle sue mani al momento della cremazione. Egli custodisce un segreto inconfessabile e lo porta con sé fino alla tomba. Segreto, però, non altrettanto precluso alla macchina da presa, custode dell’invisibile e dell’incredibile. Il riferimento è alquanto dichiarato al finale di Quarto potere (1941) di Orson Welles, poiché, nel finale, Thompson conclude dichiarando di aver fallito e che il significato di “Rosabella” resterà un mistero. Il finale del film rivela tuttavia allo spettatore che “Rosabella” è il marchio dello slittino con cui Kane da piccolo stava giocando quando fu costretto a lasciare la sua casa in Colorado. Creduto un oggetto inutile, lo slittino fu bruciato quando vennero catalogati tutti i beni di Kane a Candalù. In conclusione, Silence è sicuramente un film non immediato, difficile e di forte tensione ideologica. Martin Scorsese con la sua raffinatezza e sensibilità dopo quasi trent’anni è riuscito a trasportare lo spettatore nel Giappone del Seicento e a descrivere in tutte le piccole sfaccettature di come gli uomini molto spesso sono convinti di poter cambiare il mondo prima di soccombervi ma che, in fondo, riescono a rimanere leali almeno con loro stessi, seppure in silenzio. È un film che porta sicuramente a riflettere anche di quanto la natura fa parte di noi esseri umani che, molto spesso, non riusciamo ad apprezzare il silenzio che riesce a donarci.
Chiara Priori